La fainà
I personaggi della nostra storia mangiano fainà. Per chi non lo sapesse, la fainà, o farinata di ceci, è un tipico piatto ligure, un piccolo capolavoro preparato con pochi, semplici ingredienti: farina di ceci, acqua, sale e olio di oliva.
È un cibo povero, che veniva usato in alternativa al pane, ma che fornisce un valido sostentamento grazie alle proprietà nutrizionali dei ceci. Per queste sue virtù, da Genova e dalla Liguria la fainà si è diffusa dapprima nelle regioni confinanti, quindi in Sardegna, in Corsica e nelle colonie liguri, fin poi al Sudamerica, a Buenos Aires come a Montevideo.
La storia della fainà
Sin dall'antichità si hanno notizie di ricette a base di purea di legumi cotte in forno, ma il nostro protagonista è convinto che la fainà sia nata per caso, nel 1284, subito dopo che Genova ebbe sconfitto Pisa nella battaglia della Meloria.
Narra infatti la leggenda che le galee genovesi, cariche di prigionieri, furono travolte da una tempesta. Nel trambusto si rovesciarono barilotti d'olio e sacchi di ceci, che si inzupparono di acqua salata. Ma sulle imbarcazioni le razioni di cibo erano limitate; si recuperò quindi il possibile e quella purea informe di ceci, olio e acqua di mare venne comunque cotta, come cibo per i prigionieri pisani, incatenati al remo. Alcuni di loro si rifiutarono di mangiare la poltiglia e la lasciarono al sole, che la asciugò. Il giorno dopo, spinti dai morsi della fame, i prigionieri pisani si risolsero a mangiare la poltiglia essiccata, e rimasero stupiti per la sua inaspettata prelibatezza.
Una volta sbarcati, i Genovesi pensarono di migliorare la scoperta improvvisata, cuocendo la purea in forno. Il risultato piacque e, per scherno agli sconfitti, venne soprannominato "l'oro di Pisa".
La ricetta della fainà ai giorni nostri
Nel tempo, alla ricetta della fainà sono state apportate alcune migliorie; tuttavia, ancora ai giorni nostri, la fainà si prepara con un procedimento che non si discosta poi molto da quello originale:
- in una terrina stemperare una parte di farina di ceci in 3 o 4 parti d'acqua, facendo in modo che non si formino grumi;
- aggiungere il sale;
- lasciare riposare la miscela per alcune ore (tipicamente dal mattino alla sera), mescolando di tanto in tanto, per evitare la decantazione della farina;
- ungere una teglia in rame stagnato dai bordi bassi (che a Genova prende il nome di testo) con un velo d'olio d'oliva (meglio un olio molto delicato, perché un olio dal sapore intenso coprirebbe il sapore della fainà);
- porre il testo in forno per alcuni minuti (questo accorgimento serve a facilitare il successivo distacco);
- estrarlo dal forno e versarvi la miscela, partendo dal centro della teglia (lo spessore deve essere di almeno 5 mm ma inferiore a 1 cm);
- "spezzare" l'olio con un cucchiaio di legno dai bordi verso il centro della teglia (fino a fare affiorare macchie di olio sparse sulla superficie);
- infornare nel forno a legna già ben caldo. Nella primissima fase della cottura è importante girare la teglia in modo da mantenere uniforme lo spessore (essendo molto difficile che il forno sia completamente in piano, si evita che si formino parti più spesse e poco cotte e parti troppo sottili e bruciacchiate).
È possibile arricchire la ricetta cospargendo la farinata con altri ingredienti: prima di infornare con rosmarino, carciofi o sottili fette di cipollotti, oppure a metà cottura con stracchino, gorgonzola, salsiccia o con i più delicati bianchetti.
I luoghi della tradizione
Il costume genovese vuole che la fainà sia mangiata calda, appena sfornata, nelle sciamadde, i tipici locali in cui veniva cotta ad arte, sottile sottile, profumata di olio e unta al punto giusto, morbida sotto, ma con una crosticina dorata e croccante in superficie.
Un tempo a Genova le sciamadde erano numerose; ai giorni nostri invece bisogna andare a cercare le poche superstiti nei luoghi della tradizione. Ma ne vale la pena, fosse anche solo per entrare nel locale ed essere avvolti dal profumo rassicurante che si sprigiona dal grande forno a legna, che spesso lo occupa quasi per intero, fiammeggiante di fascine che bruciano alle spalle di un lungo bancone di marmo.
Fino a non molto tempo fa, nelle sciamadde andavano a rifocillarsi i lavoratori del porto. Oggi sono invece gremite di passanti e turisti, che si fermano per gustare non solo la fainà, ma anche gli altri semplici capolavori di cui la tradizione gastronomica genovese è ricca: focacce, polpettoni e torte salate, da consumare in piedi, appoggiati al bancone, magari tra due fette di pane, sorseggiando un gotto di bianco, "quello buono".
Genovesi: popolo di navigatori e mercanti, ma anche precursori dei moderni fast food!